La melodia del fico d'India

Siamo un insieme di impressioni e ricordi.
Un particolare stormire delle fronde degli alberi, il flash di un uccello che attraversa velocemente la strada, una voce, un particolare odore, la fisionomia di un volto o l’incedere di una persona e quant’altro sono tessere del puzzle che compone la nostra vita, che ne siamo coscienti o meno. Un bagaglio per lo più occulto di esperienze, di impulsi, di sentimenti e emozioni che il più delle volte restano sommersi dalle contingenze quotidiane, dal nostro ‘essere’ ma che esistono; restano lì, soffocati ma pronti a emergere e, quando lo fanno, ci stupiscono, ci incuriosiscono tanto appaiono inspiegabili.
Virginia, non comprende il suo «stare bene, ma proprio bene» quando giunge nell’isola di Salina per le vacanze estive:
[…] Il suo sguardo indugiò sui contorni dell’isola che sempre più nettamente si stagliavano all’orizzonte e inspirò profondamente nell’intento di carpire l’essenza fin dal suo primo manifestarsi; quando l’aria non era più componente indifferenziata di quel mare, di quell’ambiente, ma diventava ‘l’aria di Salina’. Della sua isola. Perché di questo si trattava. Le sue vacanze a Salina non erano semplici vacanze, bensì dei ‘ritorni’, quasi dei pellegrinaggi. C’era qualcosa che, appena sbarcata dalla nave, l’assaliva: una strana sensazione di pace, di attesa e, al tempo stesso, di sicurezza come quella che si prova quando, dopo una faticosa giornata passata con gli altri, si rientra a casa e si chiude il portone alle proprie spalle […].
Nel suo caso sarà il mare – identità immutabile nel suo proporsi – a farsi scrigno di quanto potrebbe essere stato l’inizio di questo suo ‘appartenere’ all’isola.
Ma qual è la ‘storia’? È quella di Amada, una donna che nel 1543 con i compagni coloni veneziani lascia la penisoletta di Monombasia nel Peloponneso, ormai ceduta dalla Serenissima all’Impero Ottomano, per giungere – dopo vicende di mare e di fuoco, di amore e di morte – a Salina dove importerà la coltivazione della malvasia. Ma questa è solo una parte della storia narrata: per spiegare il legame occulto che avverte Virginia per l’isola bisogna che almeno un discendente di Amada sia tornato a Venezia ma lo abbia fatto in sordina; senza avere cognizione alcuna delle vicende che lo hanno condotto nella città madre patria. In sintesi, la Storia, in questo caso, sarà indotta a farsi muta e troverà gioco facile perché quel veneziano tornato a Venezia sarà solo un bimbo di pochi mesi. Nulla di tangibile potrà mai ricordare ma solo custodire sprazzi di emozioni trascorse.
Se il mare è lo scrigno, la pianta di fico d’India è la voce narrante: la sua forza, il suo contrapporsi a una natura per lo più matrigna accompagna le vicende umane nel loro rocambolesco svolgersi; si erge a loro scudo divenendo ideale scenario per lo sviscerarsi di altrettanti idealistici sogni e desideri.