D'Anima e Terra

D'Anima e Terra copertina

Immaginate Ciummamari, un paesino della Sicilia degli anni Venti tra Nizza e Messina. Un paesino arroccato su una collina sassosa che guarda il mare lontano. Vi abita povera gente che non chiede di più che il poter campare alla giornata. E immaginate una donna analfabeta, madre di cinque figli, innamorata del marito che sta partendo per l’America allo scopo di guadagnare quel tanto da consentirgli di acquistare il lembo di terra che coltiva. Il suo sogno è quello di diventare proprietario dell’agrumeto dove lavora, grande poco più di un fazzoletto.
E immaginate, ancora, questa donna che – all’indomani della partenza del marito – modifica i destini dei familiari decidendo di destinare i soldi che le giungeranno da oltre oceano per mantenere i due figli maggiori in un collegio a Catania perché possano diplomarsi e – addirittura – frequentare poi l’ Università.
È una storia di emancipazione femminile all’incontrario; ovvero di una lotta che non rivendica diritti per il proprio genere ma che, straordinariamente, vuole ‘aiutare’ l’uomo ad evolversi.
Alide – questo è il nome della protagonista – non lotta per sé, per quell’analfabetismo che le ‘graffia’ il cuore; semplicemente, vuole dare una occasione ai figli maggiori – confidando che questi possano poi ‘aiutare’ gli altri – per vivere lontano da quella terra che irretisce con i suoi colori, i suoi profumi, i silenzi dei grandi spazi ma che, a ben guardare, è solo sassi, fichi d’india e poco altro.
Alide è caparbia; non si fermerà davanti alle complicazioni che seguiranno a questa sua ‘decisione’ rischiando l’amore del marito, perdendo il rispetto dei parenti e del paese che confondono il suo desiderio di offrire un futuro diverso ai figli con presunzione e superbia.
Non indugerà neppure nel costringere la figlia a una vita di solitudine inducendola a lavorare indefessamente perché i fratelli possano permettersi di studiare.
Alide non lesinerà neppure a sé stessa fatica e umiliazione e quando i soldi che arrivano dall’America con quelli che le due donne guadagnano non basteranno per pagare le rette del collegio e poi dell’Università ecco che venderà l’unica cosa che, in quel mondo, le appartiene: sé stessa. Non ha altro: non un gioiello, un corredo, un mobile, una qualsiasi cosa che possa costituire merce di scambio. E si venderà solo ad uno: al padrino di turno e lo farà con dignità, mai nascondendo l’amore che la lega al marito ma anche consapevole che, a volte, la brutalità di modi e di fini, nascondono animi incapaci di amare solo perché, semplicemente, nessuno glielo ha insegnato.
Attorno al personaggio di Alide si muovono uomini: quasi tutti ‘piccoli uomini’, invischiati nel loro vivere quotidiano dove l’insorgere del fascismo esalterà in alcuni effimeri poteri. Si eleva dal ‘gruppo’ la figura di Santo, suo marito, ma solo perché è un poeta e per questo, alla fine, lo si assolve da quel suo vivere fuori dal mondo.
La decisione di Alide – nei propositi – sarà vincente: i figli diventeranno un medico, un professore, un avvocato, un giornalista; ognuno lo diventerà seguendo la propria strada ma non è detto che, alla fine, saranno uomini felici. Anzi, proprio la cultura acquisita li farà sentire estranei alla Terra che li ha generati e la Sicilia diverrà un ingombro, un ‘pensiero’ da rimuovere; forse addirittura da cancellare.
E, sempre alla fine, anche Alide si renderà conto che quei sassi e quelle agavi, e quegli agrumeti e quelle capre che avrebbero dovuto costituire, nella logica di quel contesto, il solo futuro possibile per i figli – futuro al quale si era ribellata con tutta la sua forza – rappresentavano, forse davvero, l’unica possibilità di vivere felici perché, come per la filosofia di Santo, la natura non la si deve conoscere troppo o interrogare, ma solo guardare lasciandosi permeare da essa.

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